martedì 26 ottobre 2010

Il Ladro di Sogni - di Andrew Pyper

SPOILER

Siete avvisati




Ebbene sì, l'ho fatto. Un'altra volta.
Sì, perché io soffro di una rara malattia. Nulla di venefico, mefitico né contagioso. Semplicemente, di tanto in tanto il mio occhio viene irresistibilmente attratto da un libro, un libro a caso, in vendita su uno scaffale qualsiasi, e si fa comprare.
Questa volta mi trovo fra le mani "Il Ladro di Sogni" (in originale: "The Killing Circle", come potete notare dalla copertina qui sopra). Il romanzo è un thriller, genere cui non sono affezionatissimo. Io sono più tipo da genere Fantasy, ma ho la decenza di sentirmi in colpa quando penso alla limitatezza del prediligere un unico genere, quindi rimango aperto anche a tutto il resto. Il guaio è che deve venirmi l'uzzolo.
Sono un lettore capriccioso e viziato.

Comunque, giunto a casa, mi lancio nella lettura di questo romanzo. Carino, scorrevole. Mediamente riesce a incuriosirmi, nonostante parli di un perfetto idiota che vorrebbe essere il protagonista. Per di più un idiota senza motivo d'esserlo, la razza peggiore: gli idioti apposta.
D'altronde, il protagonista dev'essere necessariamente un idiota: in quella vicenda, persino una persona dotata delle non eccelse capacità investigative di Watson avrebbe risolto il mistero e consegnato i veri colpevoli alla polizia ben prima che le persone comincino a venir fatte a pezzi.
E anche questo è normale, quando il figlio di 8 anni è palesemente più intelligente del padre.
Ma tutto questo fa in qualche modo parte del gioco.
Il patto è che io starò al gioco dell'autore, anche se in realtà ho capito tutto, mentre lui mi darà in cambio un finale degno di questo nome, un finale che mi dia i thrill.

Ed è questo il difficile dello scrivere un thriller. Lo sanno tutti che l'identità dell'assassino sarà nota al lettore più o meno da pagina 102 (o 34, o 96). E sappiamo tutti che cosa succederà agli amici del protagonista. Quello che paga, in un thriller, è avere comunque una sensazione d'angoscia alla fine del romanzo: devi arrivare alla conclusione girando le pagine una dopo l'altra, leggendo "ancora un capoverso" quando la cena è pronta da dieci minuti e la minestra è così stanca di aspettarti che ti chiama a gran voce.
Dopotutto, è uno dei piaceri della lettura: un mondo che ti cattura a tal punto da farti fare la figura del perfetto imbecille con le persone vere con cui avevi appuntamento mezz'ora prima.

Purtroppo, è proprio quello che manca al romanzo in questione: finale stanco, mollo, affrettato al punto da risultare nebuloso, confuso, come se l'autore alla fine fosse troppo stanco per dare una soluzione alla vicenda. Niente colpi di scena, niente tensione sulla sorte dei personaggi.
Non riesce a essere inquietante nemmeno facendo sopravvivere i colpevoli.

lunedì 4 ottobre 2010

Boot e reboot: te li do io i boot e non ti dico dove

Qui trovate un breve richiamino, dato che del film e delle difficoltà che attraversa ne avevo già parlato. Sì, ma quale film?
Parlo del soffertissimo Spider Man 4.
Rispetto al mio precedente post, nessun attore, fra gli allora "rumored" rimane associato al progetto e, a quanto pare, nessun altro di quelli che abbiamo visto in precedenza, cosa peraltro coerente con il termine reboot.
In compenso, Emma Stone potrebbe essere la nuova Mary Jane Watson.
Nel ruolo di Spidey, pare confermato Andrew Garfield.
Al di là di questo, il progetto non ha ancora un titolo ufficiale, se ne parla ormai da tantissimo tempo, siamo a tre anni di distanza dal pessimo Spider Man 3 e si parla di dover attendere il 2012 per vedere questo quarto film, che in realtà sarà un "Uno Bis" di cui francamente ci si chiede l'utilità.
Che si sa di certo? Nulla, se non che stanno facendo un gran paciugo.
A questo punto è una gara fra Spidey e il calendario dei Maya.
Non so voi, ma io tengo per questi ultimi: senza dubbio è, fra le due, la prospettiva più divertente.

Quando si dice che un progetto rimane invischiato
in un Production Nightmare.

domenica 3 ottobre 2010

Piccoli esploratori dell'Infinito

Verne fu il primo. Lui immaginò un proiettile sparato da un cannone e, ancora una volta, il suo genio precorreva i tempi, la sua fantasia andava oltre e vedeva ciò che gli altri non riuscivano a vedere.
Vero: i Greci furono i primi a fare il gioco dei puntini e dare forma e nome alle costellazioni e Galileo fu il primo a guardare il cielo con occhio scientifico, riuscendo a capire che non siamo al centro di qualche gigantesco uovo divino, ma abitiamo più che altro nei sobborghi.
Ma fu Verne il primo a dire: "E se potessimo volare fin lassù?"
Nel 1969 Neil Armstrong, con il suo piccolo, gigantesco passo, rispose a quella domanda. Lui e tutti gli uomini della NASA, che in quell'epoca uscivano vincitori dalla celeberrima corsa alla Luna contro il "nemico di sempre" (per citare, inversamente, Marko Ramius da Caccia a Ottobre Rosso).
E chi di noi non ha immaginato, da piccolo, di essere un astronauta?
Cosa farai da grande? L'astronauta!
Standard.

Poi si cresce, si capisce che siamo ancora molto indietro e che, bene o male, i marziani là fuori non ci sono, più che altro c'è lavoro per Giacobbo e chi, come lui, è sempre a caccia di una roccia dalla forma strana.
Si cresce e si capisce che non è mica così facile andare nello spazio, che serve un addestramento da Superman, bisogna studiare duramente, fare calcoli complicatissimi, conoscere la meccanica e una dozzina di altre discipline scientifiche. Insomma, non basta dire "Scotty, teletrasporto!" per trovarsi sul ponte di un'astronave in viaggio verso frontiere inesplorate.
Si cresce e al TG si sente dire che, a causa della crisi, vengono tagliati i fondi alla NASA e che, ancora una volta, i "grandi" ci dicono "Bambini, ora basta giocare!"
E "lo spazio" viene messo nel dimenticatoio, inizi a credere a chi dice che non c'è vita là fuori, che siamo solo noi. Più o meno.
E poi viene fuori che i nostri cari cervelloni col naso all'insù hanno scoperto questo pianetino, dal nome scientifico orrendo di Gliese 581g. Gliese 581 perché è il nome della stella (una nana rossa grande un terzo del nostro caro Sole, distante 20 anni luce da noi) attorno a cui orbita. La lettera "g" identifica il pianeta, distinguendolo dagli altri fratellini del suo sistema.
Il caro "G" ha una particolarità: pare proprio che sia alla distanza giusta dalla sua stella per ospitare le condizioni favorevoli alla vita.
Ed è così che, a 29 anni, ti ritrovi a sognare di astronavi e alieni e mondi inesplorati. E vedi quello che vedeva Verne: l'Universo è la prossima frontiera. Lontanissima, per il momento, perché la nostra conoscenza tecnica non ci consente che di sognare a occhi aperti, ma a me basta questo per entusiasmarmi, non solo in senso professionale.

Ormai l'astronauta non lo voglio più fare o, per essere precisi, ormai so che non sarò un astronauta, ma trovo bello sapere che questo sogno passerà oltre e accompagnerà altri e che, prima o poi, qualcuno lo potrà realizzare.
E quando questo qualcuno, novello esploratore dello spazio, metterà piede su un mondo sconosciuto, sono convinto che sentirà l'applauso di generazioni di sognatori.

Certo, magari in quel momento potrebbe fargli comodo lui...

When in doubt... Pull out Dutch!

... Ma questa è un'altra storia!
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